Niederkofler, Toè, Tarabini e gli altri: gli chef che portano il bosco nei menu lombardi. I segreti delle ricette e le curiosità

Articolo tratto da corriere.it

Chi raccoglie erbe all’alba e chi in cucina consulta tomi di botanica. Da «Horto» a Milano tutto segue «l’ora etica». I fratelli Manzoni dell’Osteria degli Assonica mappano le valli in cerca di rarità.

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Radici, licheni, erbe selvatiche rare nel piatto. Gli chef lasciano per un attimo i fornelli e vanno per boschi. La loro cucina sposa la filosofia dell’anti spreco e riscopre ingredienti inusuali. 

Tolta la divisa, chef Gianni Tarabini, stella verde Michelin de La Preséf a La Fiorida di Mantello (Sondrio), infila gli stivali e si dedica alla raccolta di piccoli frutti ed erbe aromatiche. Il suo è un microcosmo in cui la filiera corta è collaudata: «Un ingrediente di qualità deve nascere preservando le risorse naturali da cui prende vita. Sono beni preziosi, prodotti con la cura attenta della terra, del benessere animale, dei tempi e ritmi delle stagioni». Ciò che finisce nel menu è legato totalmente all’ambiente circostante. Il suo progetto va oltre il ristorante: è una fattoria in cui si tramanda una cultura antica. Cesta alla mano, eccolo arrivare la mattina in cucina con mirtilli e verze, erbe e fiori. Gli alpeggiatori della bassa Valtellina, o i pescatori dell’Alto Lago di Como, non solo fornitori: «Sono compagni di avventura». 

Si sale in quota, a ridosso delle piste di Madesimo (Sondrio), dove Stefano Masanti, lo chef di montagna de Il Cantinone (Les Collectionneurs), prestato alla Napa Valley in California per otto mesi l’anno, conosce ogni frutto delle sue zone. Una passione, quella per la raccolta di cortecce, gemme e radici, nata sin da bambino nella sua Valtellina, in Valchiavenna, Campodolcino e gli alpeggi che le circondano. «Mi piace fare conoscere sapori mai sentiti prima, come quello dell’achillea millefoglie e moscata. E poi silene, ortica, plantago, buon Enrico, rumex, matricaria, dente di leone». Gemme e pigne verdi di pino mugo «danno quel tocco balsamico» a piatti speciali come gli gnocchi all’abete. Le dispense sono un compendio di botanica: rododendro, lichene artico, genziana, prugnolo, mirtilli neri, sorbo degli uccellatori, fiori di acacia, felci commestibili, raperonzoli, aglio orsino, e più di 25 varietà di funghi eduli raccolti dallo chef, che neppure si pensava esistessero. «L’esplorazione del territorio non è una moda, ma frutto di anni di passeggiate tra campagna e montagna. Un arricchimento che ci porta a dare la giusta importanza al vegetale in cucina».

 I fratelli Manzoni, Alex e Vittorio, sono i due giovani chef dell’Osteria degli Assonica (1 stella Michelin) a Sorisole, media collina bergamasca. Le loro ricette si connettono alla natura in maniera molto concreta: ciò che gli chef hanno mappato in ogni valle è finito per essere coltivato da loro stessi nell’herbarium in cui si prendono cura di una sessantina tra erbe, fiori e frutti selvatici. 

Se questa cucina «dal bosco al piatto» sembra così lontana dalla città, ci si dovrà ricredere salendo sui tetti del The Medelan, dietro piazza Cordusio, dove si aprono le porte di Horto, ristorante dei co-fondatori Osvaldo Bosetti e Diego Panizza, che porta la firma di Norbert Niederkofler, chef altoatesino stella della sostenibilità in cucina (di cui è pioniere) e dell’Executive Alberto Toè. In questo angolo bucolico e in inaspettato della metropoli tutto si basa sul concetto di «Ora etica». «Coinvolgiamo cascine, caseifici e agricoltori che sono operativi a non più di un’ora di distanza da Milano — spiegano — riducendo gli scarti al massimo». Si tratta di un salotto in piena regola, ma con tanto di orto in terrazza. Qui arrivano le verdure dalla Cascina Fascina di Abbiategrasso, il riso da Cavalieri d’Italia di Giussano, mentre Jacopo e Francesca di Gea portano funghi e fiori da mangiare in questo angolo bucolico sui tetti della metropoli.

 

Leggi l’articolo completo di Eleonora Lanzetti su corriere.it

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